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LABORATORIO
Compito di realtà
GRUPPO STORICO DELLA LETTERA A UNA PROFESSORESSA - CENTRO RICERCA E FORMAZIONE DON LORENZO MILANI E SCUOLA DI BARBIANA - VICCHIO MUGELLO ( FI)
FONDAZIONE DON LORENZO MILANI E SCUOLA DI BARBIANA - LUNGRO - CS - CIRCOLO CULTURALE POPILIA - CS - GAS DI COSENZA : RETE UTOPIE SORRIDENTI - SENTIERO NON VIOL.ENTO - CS -

ESPERIENZE DIDATTICHE 2008/12

NUCLEI FONDANTI IL LABORATORIO
della SCUOLA DI BARBIANA
 

Laboratorio di Ischia - ICARE 2009
relazione di Edoardo Martinelli

 

G. Zavalloni

 

Il tempo che viviamo non solo in Italia, ma in tutto l’occidente, così pieno di catastrofismi e privo di valori, ci fa vivere nella incertezza del futuro. Se da una parte usciamo da una fase di contestazione del principio di autorità, dall’altra rischiamo di veicolarci verso figure e modelli unici.
Non solo nel mondo della scuola, ma anche della politica e della socialità.

La figura unica come si propone nella scuola primaria italiana o le troppe figure che troviamo nella scuola degli adolescenti sono la doppia faccia della stessa medaglia.
Una contraddizione che si lega più a logiche di risparmio e clientelari (sindacali) che alle esigenze espresse, considerando le fasce d’età e i bisogni veri degli alunni.

Ci sono i bisogni, ma anche i desideri. Il passaggio, da ciò che la realtà ci predispone, o ci rifiuta, e il progetto di vita, è determinato anche dalle frustrazioni.
Un percorso a cui i giovani non vengono più preparati, anche perché non li educhiamo più ad esprimere i propri sentimenti.
Una logica diametralmente opposta a quella di Lorenzo Milani, per il quale l’unico compito certo dell’educatore era quello di: “Turbare l’animo”. E nonostante il clima infuocato del dopoguerra in una lettera del 26 aprile del ’56 scrive a una ragazza che sta per prendere come marito un suo giovane parrocchiano, diventato medico, le seguenti parole, che coccolano, ma rigenerano anche:
“…T’accorgerai che il mondo è malmesso. Dio l’aveva creato preciso, aveva fatto gli uomini tutti poveri e tutti ignoranti. Gli uomini invece, non si sa come, si sono accordati per tirar su qualche decina di persone molto ricche e molto istruite e lasciar tutti gli altri come Dio li aveva creati.
Da questa violazione dell’ordine naturale sono nati infiniti mali che non starò qui ad elencarli perché immagino che tu ne possegga già un chiaro concetto.
Vedrai poi dalla finestra della tua casa, che in questo mondo infelice ricchezza e istruzione viaggiano sempre a braccetto. Chi è più istruito guadagna più quattrini. Chi ha più quattrini fa più studiare i suoi figlioli. E via di seguito in un circolo chiuso.
I signori ti diranno che non è vero e che un contadino guadagna più di un professore. Ma tu non li credere. Rispondi loro: ‘Se è così andate a fare i contadini ’ ”.

E’ indubbio che il nostro Maestro, nel riflettere ironicamente sulla natura umana, distingue bene gli attributi creati in partenza da Dio da quelli inventati successivamente dagli uomini, in modo cosciente e determinato. E’ convinto che le potenzialità degli analfabeti, siano le stesse degli uomini che possiedono l’istruzione. La nostra memoria collettiva, secondo il giovane prete, è meno sottoposta ad errori. Non basta alla sopravvivenza ciò che è stato il prodotto di evoluzione biologica milionaria, il Neanderthal per esempio, la cui finalità era in primo luogo l’adattamento e la sopravvivenza del corpo, ma non dell’anima e dello spirito, e per questo condannato all'estinzione. E’ indubbio, per Lorenzo Maestro, che sia l’ambiente sociale e culturale, in cui viviamo, a fare la differenza.
La scuola non può prescindere da questa considerazione:
“E’ importante creare l’ambiente giusto per crescere!”
Ecco perché la relazione, maestro e allievo, e la realtà, il territorio in ciò che esprime e abbisogna, sono nuclei portanti della Pedagogia di Lorenzo Milani.
Il quale all’allievo ribelle dirà:
“Se la vita ti ha insegnato cose che io ignoro perché non me le insegni? So bene che molti aspetti della vita moderna mi possono sfuggire, ma questa è colpa anche tua, informami meglio. Tu potresti aiutare me ad avvicinarmi, a fare una scuola più "aderente alla realtà".

La realtà è la strada maestra dell’apprendimento e dell'insegnamento.

Percezione matura, linguaggio e razionalità caratterizzano la nostra dimensione collettiva, ossia sociale e interattiva! E’ quindi soltanto collettivamente che costruiamo il linguaggio e la scienza.
Vivere non è un problema di sola sopravvivenza fisica, ma di piacere:
Il piacere di comprendere e comunicare.
Di imparare insieme.
Di amare.

Una vera relazione va oltre la sospensione del giudizio! Il suo presupposto è l’inclusione e il riconoscimento. Stare con gli altri è già terapia, è già apprendimento.
Torniamo al giudizio perché incapaci di costruire una vera relazione?
Forse è proprio qui la soluzione dei nostri problemi educativi! Purtroppo nella nostra scuola non si educa più alle abilità sociali, ma soltanto alle discipline.

Ecco perché il nostro aboratorio lo abbiamo così definito: Dall'intuizione alla sistematizzazione. Nuclei fondativi della pedagogia di Lorenzo Milani.

Una ricerca obiettiva che vuole andare al di là dei contributi e delle visioni di parte. Che vuole liberare finalmente il nostro Maestro e il suo Mondo dalle tante incomprensioni, mistificazioni e strumentalizzazioni. Un desiderio, il nostro, che vuole individuare, semplicemente, la buona pratica d’insegnamento.

Abbiamo cercato, nell’interpretare il metodo della nostra Scuola, di nintrodurre alcuni contributi, provenienti sia dalla neuro-biologia che dallo strutturalismo.  Sono secondo noi quegli elementi essenziali che hanno determinato il sedimento sul quale poggiano le teorie e la prassi di ogni buon apprendimento.

 

con l'allievo

 

PEDAGOGIA DELL'ADERENZA

“Perché ricorrere sempre a una struttura logica? Abbandoniamo la nostra abitudine al solo ragionamento razionale.
Scattiamo delle foto - immagini e organizziamole attraverso i loro rapporti”.
Questo modello “ingenuo”, la tecnica umile della scrittura collettiva del mio Maestro, è infatti esaltato anche da “L’Arte di imparare” di Alberto Oliverio. Tale modello sviluppa l’intuizione e implica un susseguirsi dinamico, danza e equilibrio, di rappresentazioni concettuali: le Mappe.
Parola chiave: discriminare.
Saper cogliere l’essenza delle parole e quindi della vita. Riflettere significa rallentare. Significa anche “imparare a rielaborare”.

Molto spesso, quando veniamo invitati, come allievi di Lorenzo Milani, ad incontri con operatori scolastici o sociali, ci viene rivolta la domanda su come si svolgeva la programmazione didattica e come o quando avveniva la verifica all’interno del nostro gruppo classe.
Valutazione tradizionale, intesa come verifica delle conoscenze trasmesse, o autentica, intesa come capacità di ragionare e risolvere problemi in situazioni concrete?
Per capire meglio: “ Quali diversità di giudizio tra gli esami della scuola di stato e i viaggi verifica, fatti  all’estero, dai ragazzi della scuola di Barbiana?”.

Questi interrogativi toccano immediatamente uno dei nuclei fondanti la pedagogia del Priore: ossia le strategie di ieri e di oggi.

Quando noi frequentavamo la sua scuola, professioni e mestieri erano ereditati tout court. Sia nelle campagne, in vetta al monte Giovi, sia nelle aree più industrializzate di Prato. Ciò che imparavamo a scuola era sufficiente per affrontare le difficoltà di un’intera vita. Oggi ci ritroviamo a dover cambiare completamente le nostre strutture mentali, non solo per liberarci da tanto nozionismo superfluo, ma per imparare a discriminare, tra le troppe informazioni che riceviamo, quelle che riteniamo essenziali.
Quando la mappa della realtà, che costruiamo quortidianamente, modifica la preesistente, non è così automatica la capacità di sviluppare nuove strategie, adatte a trasformare, in tempo reale, i nostri modi di agire.
Infatti non si studia più per il domani.
Si studia per tutta la vita.
Scopriamo in questo modo non solo il piacere di imparare, ma impariamo a riflettere sul nostro modo di pensare e quindi di studiare.

Allora perché non prendere consapevolezza di una scuola che troppo spesso genera solo l’illusione di sapere o di avere delle competenze? Perché non fare in modo che gli errori commessi diventino motivo di riflessione?
La pianificazione didattica e l’interrogazione disciplinare dovrebbero assumere un carattere più collegiale ed essere considerate in un ottica di programmazione e verifica in itinere.
Non per esprimere un giudizio finale su contenuti astratti o di tipo disciplinare, ma per sviluppare strategie di intervento atte a consolidare e a rielaborare non solo gli apprendimenti essenziali, ma anche le abilità sociali.

“Perdere tempo” a formare il proprio gruppo classe  e a costruire insieme le regole comuni, prima della ricerca sui saperi, è la condizione essenziale senza la quale ogni interpretazione del metodo di don Milani risulta sterile.

Infatti dobbiamo sottolineare che Lorenzo Milani, tra i primi, utilizzava l’apprendimento cooperativo nel contesto scolastico. Senza l’altro non c’è confronto, non c’è identità vera.
L’io e il tu s’incontravano per formare il noi di Freire.
Un approccio alla conoscenza, del tipo metacognitivo che era capace, già sul campo, di analizzare strategie e processi.

Non pianificava tutto lo scibile, ma teneva presenti gli obiettivi, ossia le indicazioni per il curricolo: Apprendimenti di Base – I saperi irrinunciabili - Pensiero riflessivo e critico -  Simbolizzazione e rappresentazione del mondo – Sapere integrato – Cittadinanza attiva -  Attenzione alla diversità – Esplorazione e scoperta – Apprendimento cooperativo ... .

Quindi il suo contesto educativo in partenza vuoto, perché privo di pianificazione a monte, si riempiva di argomenti che via via si dipanavano all’interno di una ricerca interdisciplinare e specifica, che non era solamente indotta dal maestro, ma considerata secondo le motivazioni profonde di ogni allievo.
Sia i ragazzi che gli insegnanti avevano chiaro nella loro testa il metodo e i punti di arrivo del curricolo, così sintetizzati nella “lettera a una professoressa”, culmine dell’esperienza di Barbiana: “Comprendere e commentare l’articolo di fondo di un giornale”.
Questo metodo, noi allievi di don Milani, continuiamo positivamente, a sperimentarlo nei nostri laboratori di scrittura collettiva partendo dalla lettura del giornale.
Un articolo del 10 settembre aveva come titolo: “E’ il giorno del Big Bang”. Un altro: “La particella di Dio, ossia il bosone di Higgs”. “Sottoterra viene simulata la nascita della vita da quando tutta la materia cosmica era contenuta nello spazio di un’arancia”. A tale proposito ci dicono i fisici che per scoprire delle verità, hanno inserito nei tunnel, lunghi decine di chilometri, dei potenti acceleratori, in grado di ricreare, per brevi istanti, condizioni simili a quelle dei primi istanti successivi al Big Bang.
L’universo non si è formato quindi nel tempo e nello spazio, bensì col tempo e con lo spazio. E ancora. Se calcoliamo la velocità di recessione di una galassia e la sua distanza dalla terra, troviamo il tempo trascorso da Dio o dal caso? 14 miliardi di anni fa c’era Dio o il nulla?


Abbiamo provato a sottoporre a tali domande gli adolescenti presenti nel laboratorio di Ischia. Quante domande generano le occasioni e gli imprevisti!
Quanti turbamenti!
Nelle nostre lezioni perché non partire dalla vita reale e dagli argomenti che più motivano gli allievi?  
Per intenderci, quelli che hanno continuità educativa, che vanno oltre l’ambiente scolastico e che coinvolgono amici e familiari a riflettere sui segnali del disagio o su temi determinanti per la sopravvivenza della nostra specie e del pianeta.
Il tempo che regaliamo loro è reale o virtuale? Siamo convinti di preparare i nostri giovani al mondo globalizzato? Di dare loro gli strumenti appropriati per liberarsi da questa solitudine interiore, subita e non voluta?

 

Rapporto dialogico e imprevisti non sono entrati nel nostro schema mentale di educatori.
Invece, il nostro maestro, dalla motivazione o la realtà, il motivo occasionale, ci conduceva dritti al nucleo forte delle discipline.
La mappa concettuale, che insieme a noi costruiva, apriva delle vere e prorprie finestre sul mondo.
Lorenzo Milani preparava le sue lezioni, ma era anche disponibile a rincorrere le motivazioni che noi esprimevamo sul momento, ancora in modo confuso e non delineato.
Gli elementi occasionali del nostro esistente, riempivano subito il contenitore educativo, ossia quel processo che organizzavamo tutti i giorni insieme. Ma la regia del Maestro era sublime.

Esistevano delle vere e proprie pause comuni.
Io, che venivo dalla scuola di Stato, non ero abituato a quel silenzio improvviso, che si determinava senza imposizione.
Quelle riflessioni davano identità e creavano cambiamenti radicali con la tradizione e il passato, individuale e collettivo di ognuno di noi. 
Il nostro Priore ragionava come Fellini quando diceva:
Le prime due settimane sono io che dirigo il film, poi è il film che dirige me …”.
Questo è successo sia con la lettera ai giudici che con quella alla professoressa!
Nel primo caso è un articolo di giornale a costruire il percorso.
Nel secondo caso, è vero, ma solo occasionalmente, una bocciatura.

L’approccio alla cultura era di tipo globale, senza interruzioni. La riflessione era continua, a esaurimento, anche attorno alla buona tavola.
Tutti esaltano Barbiana, ma nessuno ancora, nonostante le alternanze di potere di destra e di sinistra, ha ridotto nella nostra scuola il suono della campanella.

Spesso quando parliamo di strategie e processi alla scuola del Priore, gli insegnanti presenti ci dicono subito che diversi erano i tempi e i luoghi dell’apprendimento.
Ci chiedono nello specifico: “E il programma?”.
L’educatore antepone sempre le discipline alle strategie.

Ecco che … cominciamo a riflettere su uno dei tanti luoghi comuni che hanno impedito di comprendere la pratica d’insegnamento di Lorenzo. Nessuno a Barbiana ha avuto una scolarizzazione che va molto oltre la scuola dell’obbligo.
Andavamo a lavorare a 15 anni di età e non perché il Priore lo volesse. Erano i tempi storici ad imporcelo. La povertà.
Se la sinistra mistifica, certa destra non sta a guardare.
Non si è capito, e ciò è del tutto imperdonabile, che l’accentuazione di certe strategie era determinata da situazioni di emergenza.

Trovo molto banali e improprie, dopo quanto detto, le riflessioni del signor Marcello Veneziani da lui fatte sul Foglio dello scorso settembre: “Don Milani il maestro nascosto del cattocomunismo che considerava arrivisti gli alunni più diligenti… cominciò col buttar via i libri… quanto male hanno fatto alla scuola le sue tirate contro la cultura, la filosofia, la pedagogia, la letteratura, i classici e Dante, la sua idea di ridurre i libri a uno da leggere collettivamente come in un soviet dell’ignoranza”.
Alcune cose che scrive, e lo ringrazio, mi hanno fatto veramente ridere.
Chi sarebbero i tanti parolai presuntuosi che don Milani avrebbe incoraggiato?
Perché il signor Veneziani, prima parla di una scuola assembleare e poi riconduce tutto il pensiero di quella comunità ad una persona sola?
Quando il Priore parla della cultura vera, quella che ancora non ha posseduto nessun uomo, si riferisce a due condizioni indispensabili per comprendere, diciamo che questo in parte erano i pre-requisiti d'accesso alla sua scuola: appartenere alla massa, ossia alla classe lavoratrice, e possedere la parola.

La sua è semplicemente coerenza di pensiero e intonazione con la vita.
Ossia, per esempio, sedere in Parlamento e vivere con orgoglio la vita da operaio e non da nababbi, come pare succeda oggi, nei comparti di destra come in quelli di sinistra.  
Non avevo mai letto niente di più banale e superficiale su Lorenzo e la sua scuola.
Mi piace comunque l’idea, da Veneziani espressa, di una scuola che comincia a fare autocritica senza far sparire le carte perdenti. Vorrei essere invitato ad un pubblico dibattito con questo signore, in qualsiasi sede e con il tempo necessario, per demolire, riflettendo con lui, i tanti luoghi comuni della scuola.

Purtroppo, per molti educatori, il modello Barbiana ha semplicemente rappresentato laboratorio povero, improvvisazione, eliminazione del voto e del registro.
E’ luogo comune, per chi critica tale esperienza, affermare che essa ha riversato nella scuola l’egualitarismo senza gratificazione.
Ma siamo sicuri che sia esso il solo colpevole e responsabile del calo di cultura nel nostro paese?
Il motivo per cui abbiamo scritto la “lettera a una professoressa” si legherebbe in modo esclusivo alla bocciatura. Ipocriti!
Tanti, soprattutto a sinistra, parlano della grandezza spirituale del nostro prete definendolo “quel gigante della Chiesa”, ma poi finiscono per considerare le sue idee e azioni come un limite irraggiungibile, che rende di fatto impraticabile anche il modello della sua scuola.

Queste riflessioni superficiali non hanno voluto o saputo percepire la realtà.
Diventerebbe ovvio sostenere che il Priore vedeva nella scuola di allora, verifichiamo quanto è cambiato, uno strumento di indottrinamento e di classismo.
Una scuola fallimentare in partenza!
Incapace di far nascere nell’allievo il pensiero critico e di dare quelle competenze utili a condurre un ragionamento, dove le idee siano connesse e coerenti: lo schema logico e la mappa concettuale.

Oggi il periodo di formazione è molto più lungo.
Gran parte dell’apprendimento si legava, negli anni ’60, ai nostri comportamenti acquisiti, a scuola, a casa e nella società.
Oggi pare che il 75% delle nozioni passi attraverso il televisore o il computer.
Pensare di competere con Piero Angela nella lezione frontale è pura onnipotenza. Vinceremo la nostra vera battaglia se condurremo l’allievo a leggere da solo il libro, meglio ancora se su una panchina di un parco.
Dobbiamo educare i giovani al neo nomadismo, ci suggeriscono, con ragione,  i francesi e a considerare seriamente che le lingue le impariamo soltanto se ci muoviamo attraverso l’Europa o il Mondo.
La scuola deve semplicemente dare le competenze di base.
Quelle capaci di stimolare la motivazione all’apprendimento della lingua straniera. Soprattutto nel tempo libero.
Le ore di scuola per tale obiettivo non basterebbero mai! E allora?

Ma il tempo libero, o meglio liberato come dicevano i nostri monaci, e che era impensabile lo avessero i giovani di montagna nel dopoguerra, è diventato il tempo di una strana attesa. Il tempo di Godot?

E’ un tempo di vera decadenza direbbe il filosofo perché l’uomo ha perso ogni interesse per la ricerca della verità!
Nel mondo dei poveri era diversa la scansione del tempo, breve o lungo che fosse. Mentre noi viviamo nel vuoto, nella noia quale assenza di valori, il Priore di Barbiana, viveva in una totale emergenza, immerso nei bisogni concreti di un mondo ancora contadino.
Tra il baloccarsi e lo studiare fu normale combattere in primo luogo la descolarizzazione del Sistema, ossia prodotto dallo Stato.

Stile, coerenza ed essenzialità.
L’intonazione con il creato, che lui sempre aveva cercato, anche giovanissimo nella pittura, era, nell’aula della scuola, un modo diretto e sincero di vivere l’espressività.
C’era in Lorenzo e in quella atmosfera qualcosa di più intimo e segreto che andava a nutrire la nostra anima.
I nostri occhi non si riempivano semplicemente di immagini.
Il suo insegnamento ci rassicurava.
Ci proteggeva dalle invadenze dei tanti padroni. Più istruiti e più forti. Ci faceva individuare pericoli interiori, ancora più deleteri di quelli esterni.

Era questo il senso religioso che ci faceva condividere.
Era qualcosa di estremamente vicino alla fede e all’amore vero.
Dante? Sì, ma anche il contratto dei metalmeccanici!

 

E’ indubbio che in questo passaggio, che abbiamo ormai fatto, da una società prevalentemente statica ad una società in trasformazione continua, è importante modificare il nostro modo di apprendere.
Se consideriamo che, di tutto il nozionismo imparato a memoria a scuola, ricordiamo soltanto un decimo, comprendiamo che le energie investite, in questo modo, sono sproporzionate rispetto alla resa.

Ecco perché discriminare e ridurre in pochi fogli elettronici l’intera Storia, partendo da contenitori “vuoti o semi-vuoti” è più importante che pianificare subito l’intera disciplina.
Questa è la sfida che affrontiamo nel nostro laboratorio: individuare le mappe concettuali esperte che guidano le attività di consolidamento, che stimolano la riflessione e la partecipazione attiva.
Allora diventa spontaneo accantonare il semplice nozionismo, la lezione frontale, per valorizzare la concettualizzazione dei problemi. In modo sistematico.
La nostra società investe molto tempo, forse troppo, per la scolarizzazione, ma la qualità è sempre più scadente.

Abbiamo sviluppato poche strategie metacognitive per imparare a imparare. Per comprendere come percepiamo la realtà. Ma soprattutto non educhiamo i nostri ragazzi a governare i loro processi mentali.
Le nostre abilità a Barbiana erano controllate in situazione di mondo reale. Pensate solo alle grandi scritture collettive. Alle ricerche ci conducevano all’interno delle biblioteche e degli archivi di Stato.
Come altrimenti sarebbe stato raccolto il materiale di supporto all’autodifesa del nostro Maestro? Il quale era un buon prete e un buon insegnante, ma certamente non era uno storico esperto!

Nella nostra piccola comunità non risolvevamo problemi preconfezionati o di routine.
La disciplina la costruivamo insieme. I tipici testi scolastici, se soli, sono senza contesto e senza quella verifica al vaglio della vita che pretendevamo nelle nostre richieste scritte nella Lettera a una professoressa, quando muovevamo l’accusa principale: “Scuola, vivi fine a te stessa”.

Secondo le teorie della neuro-biologia la nostra mente sarebbe capace di rappresentare la realtà in modo analogico, senza dover sempre far conto di una griglia logica. Spesso sostituiamo il ragionamento razionale con la raffigurazione. I modelli mentali che costruiamo, solo parzialmente riescono a rappresentare la realtà. Ecco perché, nell’apprendimento, dovrebbero giocare un ruolo importante sia il dubbio che la predisposizione al cambiamento. Strutturalismo e ricerca scientifica sono andati quindi di pari passo, pur partendo da angolazioni diverse, perché, entrambe, dentro il contesto che vive l’allievo.

Equilibrazione, assimilazione, e accomodamento, secondo Piaget, si alternano alla ricerca di un equilibrio capace di consentire l’adattamento al proprio ambiente sociale e fisico. Quando una nuova informazione non risulta interpretabile, in base agli schemi esistenti, il bambino cerca di trovare un nuovo equilibrio. Modifica così i propri schemi mentali. Incorpora e accetta le nuove conoscenze.

Queste tre fasi determinano lo sviluppo cognitivo, ossia l’evolversi della struttura mentale dell’allievo nell’arco della sua intera esistenza. Altrimenti la nostra vita sarebbe ripetitiva, monotona e senza alcuna trasformazione.
In questi tre ambiti la curiosità agisce in un ruolo fondamentale. E’ quel desiderio innato che ci spinge a comprendere le diverse situazioni.
La curiosità, insieme alla fame e alla sete, è una motivazione primaria dell’uomo.
Se la perdiamo moriamo psichicamente! Moriamo davvero!

Nessun animale, da quello più semplice, che possiede 100 mila cellule nervose, a quello più complesso, l’uomo, che ne possiede 100 miliardi,  risponde agli stimoli che si susseguono con monotonia nel tempo.
La creatività si lega ad aspetti di dinamicità.
Questo concetto ancor di più vale nell’apprendimento. Considerando che esso coinvolge diverse competenze cerebrali e fasce d’età.
Con l’età cambiano i nostri punti di vista, la nostra visione del mondo, e la capacità di mettere a confronto esperienze e idee.

Crescere quindi significa, in primo luogo, passare attraverso la concretezza della vita. La quale ci porta ad accelerare o ritardare l’apprendimento. Ci porta a osservare il mondo da più angolazioni. Ci fa creare le dovute connessioni tra la nostra mente e l’ambiente che ci circonda. Ci stimola a produrre adeguate reti sociali e cognitive. La motivazione alla crescita l’adolescente la individua quando passa dai bisogni minimi di carenza, autostima e affetti, a quelli che gli consentono di realizzarsi.
Non si passa ai livelli più alti se non abbiamo ancora soddisfatto i bisogni primari.
Ecco l’importanza della relazione e del coinvolgimento emotivo. 
Tendere come educatore alla relazione concreta non significa porsi a modello unico o prevalente. Certo diciamolo alla scuola secondaria le figure di riferimento sono troppe. A tale proposito avrebbe senso far ruotare gli insegnanti su più materie invece che su più classi.
Sempre più assurdo troviamo l’apprendimento che si basa soltanto su tentativi ed errori.
Che il condizionamento sia reciproco lo insegna la vita quotidiana, ma quando passiamo dall’apprendimento all’utilizzo di quanto abbiamo imparato significa che siamo motivati.
Solo allora i nostri sensi sono completamente attenti e capaci di collegare singoli elementi a strutture più complesse. E in questo ambito non basta generalizzare, ma diventa importante l’utilizzo di quanto abbiamo appreso a scuola in uno specifico campo applicativo.
Imparare significa lasciare una memoria, è importante narrare ciò che abbiamo fatto, più importante ancora è farlo insieme: la scrittura collettiva.

Ecco che in questo senso la scuola dovrebbe favorire nell’allievo un atteggiamento critico, la capacità di formulare ipotesi e vedere la “verità” come un qualcosa che può mutare nel corso della storia.
Se al momento gli imprevisti non esistono dobbiamo simularli, attraverso variabili imprevedibili, non nella logica del trabocchetto, altrimenti la competenza espressa è pura illusione.
Praticare la democrazia, invece del predicarla dai pulpiti, consentirebbe l’emarginazione di fatto delle tante mafie presenti nel nostro paese e nel mondo. L’ordine si conquista e si costruisce nella scuola e nella società. Quando diventa un obbligo e sopraffazione, da valore si trasforma in disvalore.
Da proposta in imposizione.
Per questo è importante passare molto tempo a discutere e trovare regole condivise.